Un pezzo di vita
Vent’anni sono davvero un bel pezzo di vita, nostra e di questa associazione, che dalla sua costituzione dà vita a quello che ormai si può a ragione definire lo storico “Fest” piacentino. Una manifestazione cresciuta negli anni e oggi conosciuta in tutta Italia e – pensiamo – fiore all’occhiello per Piacenza e i suoi abitanti. Un festival importante, duraturo, organizzato con serietà, competenza e professionalità, senza lasciare nulla al caso e famoso per i suoi programmi, per la creatività delle sue vesti grafiche, per la sua meticolosa organizzazione, per il suo impatto su diversi strati della popolazione, per lo sforzo divulgativo che mette in campo con le scuole e per tanti altri motivi.
Certo, non dovrei essere io a scriverne in questo modo ma, cercando di essere il più obiettivo possibile e conoscendo a fondo l’argomento, penso (e spero) che queste considerazioni siano condivisibili.
Da parte mia posso dire che c’è stato – e continua tutt’ora – un impegno indefesso, fatto di tante ore di lavoro e di tanta energia nel far nascere e crescere questo progetto; grazie però anche a molti amici che mettono a disposizione le loro risorse migliori in modo volontario e con passione; inutile sottolinearne la fondamentale importanza.
Ricordo ancora quel messaggino del 2001 (ancora non esisteva whatsapp) che l’amico e chitarrista Roberto Baggi (nella sua beata incoscienza!) mi mandò mentre stavo partendo per un periodo parigino fatto di grandi sogni; otto parole: “Perché non organizziamo dei concerti jazz a Piacenza?” La mia testa era altrove, ma una volta preso atto che i sogni di cui sopra non si sarebbero realizzati, quella domanda cominciò a frullarmi in testa in modo sempre più insistente. Fu così che, con un manipolo di temerari, iniziammo quell’avventura che vede oggi il Piacenza Jazz Club come un’importante realtà culturale italiana.
Fu un periodo magico, eravamo entusiasti e pieni di bei sogni, dei quali una larga parte si è realizzata. Trovammo inaspettatamente porte aperte, come se la città aspettasse da tempo qualcuno che, a suon di jazz, le aprisse. Come dimenticare l’entusiasmo di Donatella Ronconi – che considero nostra madrina – nel permettere una piccola ma importantissima attenzione da parte della Fondazione di Piacenza e Vigevano di cui allora era consigliere? E come non ricordare quello dell’allora ex Sindaco e Assessore alla Cultura Stefano Pareti – il nostro papà (insieme al Maestro Parmigiani) – nel condividere la passione e gli sforzi connaturati al “diventare grandi”? E la passione e il lavoro di Giorgio Braghieri (dirigente affari istituzionali e vice segretario generale nell’allora amministrazione Reggi) per poter dare vita al Milestone?
Persone importanti e care, così come tantissime altre che non posso certo citare tutte, ma alle quali sono davvero riconoscente e alle quali dedico col cuore questo ventennale.
Oltre a tenere nel cuore il ricordo di Chicco Bettinardi, al quale abbiamo intitolato uno degli oggi più conosciuti contest musicali italiani, il mio pensiero va ai momenti vissuti con il mio Maestro, Giuseppe Parmigiani, al quale io in prima persona, ma tutto il Jazz Club deve molto, anzi, moltissimo. Vorrei qui anche ricordare una figura particolare come quella del grande appassionato di jazz Rino Cappellini che, dall’alto dei suoi tanti “anta”, viveva ancora il Jazz con lo spirito di un ragazzo innamorato.
Il primo concerto “da grandi” fu nel novembre 2004, quando riuscimmo a portare un vero mito della storia del jazz, Wayne Shorter, al Teatro Municipale. Ricordo un consiglio direttivo nella mia mansarda (ai tempi era quella la “sede” dell’associazione) dove, dopo cena, discutemmo della possibilità di organizzare quel concerto, finendo per desistere a causa della complessità e del forte rischio economico che comportava. Rimasto solo, qualcosa non andava, mi misi in macchina e guidai senza meta, finendo (forse casualmente o forse no) ad Albarola, appena prima di Ponte dell’Olio, esattamente dove pochi mesi prima perse al vita un carissimo amico cofondatore del Club: Chicco Bettinardi. Fu lì che presi la decisione appunto di “diventare grande”, decidendo di assumermi personalmente il rischio che il concerto di Shorter avrebbe rappresentato. Incredibilmente si aprirono porte importanti, comunali e private e fui circondato dall’entusiasmo dei soci e degli appassionati; ci ritrovammo a fare “i conti della serva”, a tradurre fedelmente dall’inglese un contratto che parlava di limousine dall’aeroporto, di dotazioni tecniche di alto livello, di un catering nei camerini che dettagliava perfino la marca del dolcificante. Stringere all’Hotel Roma la mano di Shorter con quel mio timido e impacciato “Nice to meet you” è un’esperienza che non scorderò mai, nonostante le decine di grandi nomi che in questi anni abbiamo ospitato. Furono due giorni galvanizzanti, ma di forte tensione e ricordo che, finito tutto, prelevando la mia auto al parcheggio, fui colto da un pianto liberatorio.
Ma pensiamo al futuro e, nel frattempo, godiamoci questa ventesima edizione in allegria.
Buon festival a tutti!
Gianni Azzali
(direttore artistico e organizzativo)